Con Follia maggiore Alessandro Robecchi prosegue nei toni amari già sperimentati in Torto marcio.
Il titolo di questo giallo edito da Sellerio è lo stesso di una cavatina tratta da Il turco a Vienna, opera giovanile di Rossini: ma non è propriamente il mondo del bel canto quello centrale nella storia.
C’è una giovane che sta studiando l’opera lirica per diventare cantante, e la cui madre viene uccisa in una maniera inconsueta in una strada di Milano. Se Torto marcio era ambientato in quartieri malfamati, in Follia maggiore l’azione si sposta nei quartieri di quelli che una volta noi avremmo potuto chiamare “la buona e operosa borghesia lombarda”, quella che era la maggioranza silenziosa. Solo che le cose oggi sono cambiate, ed anche in questo si vede la bravura di Alessandro Robecchi: nei suoi gialli c’è sempre un’analisi sociale attenta e precisa, senza però essere didascalica o moralisticheggiante.
Questa volta Robecchi concentra il suo interesse sulle dinamiche di quello che era il ceto medio mediamente benestante e che, impoveritosi con la crisi, cerca di tirare in qualche maniera a campare e di non venire sommerso dai debiti e dalle brutture della realtà. Che invece lo vanno a lambire.
Giulia, la madre della giovane cantante, è una traduttrice sulla sessantina e sul suo delitto indagano due coppie di persone. La prima è quella costituita dal sovrintendente Ghezzi e dal poliziotto Carella, protagonisti nei gialli precedenti: sono poliziotti che devono capire perché è stata uccisa per strada una donna apparentemente insospettabile. L’altra coppia è, naturalmente, formata da Carlo Monterossi e Oscar Falcone, improbabili investigatori assoldati da un anziano faccendiere: ricco, molto, ricco, con amicizie e conoscenze, è stato amante della donna uccisa, suo unico vero grande amore (sentimento probabilmente reciproco) e ora vuole capire chi l’ha uccisa.
Quest’uomo, deus ex machina della vicenda, si sente sul finire degli anni, ed è arrivato ad elaborare un angosciante conteggio: se la vita media di un uomo è 80 anni, e ogni anno ha 52 settimane, può calcolare indicativamente quante sono le settimane che ha già vissuto e quelle che statisticamente gli restano ancora da vivere. E mentre risuona questo ferale conto alla rovescia (“mi mancano 400 settimane, 399, 398…”) egli cerca di ottimizzare il tempo che gli resta, mosso dal rimpianto per le cose che avrebbe voluto fare e che non ha potuto fare, e dal rimorso per quello che ha fatto e che sarebbe stato meglio non avesse fatto
Se Torto marcio, il romanzo precedente, era estremamente doloroso e cupo, Follia maggiore di Alessandro Robecchi è principalmente dolce-amaro perché alla trama investigativa e al sottotesto sociale con le problematiche contemporanee (in questo caso l’impoverimento del ceto medio benestante) si affianca un continuo sentimento di struggimento per l’amore finito, per ciò che non si è potuto realizzare, per quello che si è rimandato troppo a lungo, per le occasioni perse.
Questo è uno dei motivi per cui ci piacciono così tanto i libri di Alessandro Robecchi: sono dei gialli ben costruiti, sono dei gialli che sanno alternare l’ironia alla serietà, ma sono soprattutto storie che parlano di sentimenti, della condizione umana, delle corde dell’animo che ci spingono a comportarci in una data maniera.
Tre motivi per leggere Follia maggiore di Alessandro Robecchi?
Il divertente excursus sul mondo operistico; la profonda empatia che dimostra con tutti i suoi personaggi, indipendentemente dal ceto sociale e da ciò che fanno, siano essi poliziotti che non arrivano alla fine del mese o ricchi che nel passato si sono mossi sul filo della legge; lo scavo profondo, costante ma mai pesante dell’animo umano.