La morte della Pizia di Friedrich Durrenmatt edito da Adelphi ha un titolo che ci porta a pensare di essere davanti ad un saggio accademico, forse anche un po’ anche noioso, sulla fine della religione degli antichi Greci. Invece si tratta di un racconto breve che all’inizio sembra qualcosa di molto diverso rispetto a quello che poi si scoprirà essere. Ecco l’incipit:
Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro. […]
Vecchia com’era Pannychis trascinava stancamente anno dopo anno la sua interminabile esistenza, sembra ai ferri corti con il gran sacerdote, che pure grazie lei faceva soldi a palate perché più passava il tempo più i suoi responsi diventavano spavaldi e azzardati. Non che lei che credesse alle cose che diceva, anzi vaticinava in quel modo proprio per farsi beffe di coloro che credevano in lei, col risultato però di destare nei suoi devoti una fede assolutamente incondizionata. Pannychis profetava, vaticinava imperterrita, neanche a parlarne di poter andare in pensione.
Il santuario era umido e pieno di correnti d’aria. […] l’interno era squallido, una spelonca male isolata di roccia calcarea. A unico conforto di Pannychis, i vapori che scaturivano dalla fenditura nella roccia, giusto sotto il tripode sul quale era assisa, alleviavano i dolori reumatici provocati dalle correnti d’aria.
Fin dall’inizio La morte della Pizia si rivela un raccontino scoppiettante, intriso del miglior humor inglese, una presa in giro di tutto quel mondo paludato, serio, drammatico che noi abbiamo imparato a conoscere fin dai banchi di scuola.
Se la Pizia è una vecchia con non ne può più di fare quello sporco lavoro, e il sacerdote un cinico truffatore, anche Tiresia, il veggente cieco che compare in tanti miti come una figura quasi sacrale, non è esattamente come non ce lo aspettiamo.
Benché si fosse appena accomodata su una sedia, Pannychis XI scattò in piedi e dichiaro che con Tiresia non voleva avere niente a che fare, era ormai troppo vecchia, protestò, per poter imparare, tenere a mente e recitare con sicurezza gli oracoli altrui. Arrivederci e grazie.
Un momento, disse Merops inseguendola e sbarrandole il passo sulla soglia dell’ufficio, un momento, non era il caso di prendersela in quel modo, anche lui era convinto che quel cieco di un Tiresia fosse un tipo quantomai sgradevole, di sicuro il più grande maneggione e politicante di tutta la Grecia, e, per Apollo, marcio e corrotto fino alle midollea, ma bisognava mettere, aggiunse, che nessuno pagava bene come Tiresia e stavolta la sua richiesta era più che comprensibile, essendo a Tebe di nuovo scoppiata la peste.
La peste era di casa a Tebe, borbottò Pannychis, né c’era da stupirsene poi tanto, disse, bastava dare un’occhiata alle condizioni igieniche intorno all’acropoli.
Se Pannychis è una vecchia che profetizza caso dicendo le prime scemenze che le passano per la testa, Tiresia è un maneggione che paga la Pizia pilotandone i responsi per gli interessi politici che vuole difendere; la successione al trono tebano, in questo caso incentrato sulla figura di Edipo.
Da queste premesse uno potrebbe pensare che La morte della Pizia sia una presa in giro del mondo antico: in realtà non è così, o meglio, lo è solo nella prima parte. Quando cala la notte Tiresia e la Pizia hanno delle apparizioni: Edipo, Laio, Giocasta, la Sfinge, tutti gli attori del mito edipeo appaiono a questi due bugiardi parlando della loro vita e di quello che hanno compiuto, influenzati dalle profezie, dalle maledizioni e dai vaticini che hanno ricevuto dai due.
Ma ognuno di loro racconta la verità per come l’ha vissuta, in maniera soggettiva, mentre i due veggenti che hanno vissuto quelle azioni da fuori iniziano ad avere un quadro completo di come si sono svolte le vicende, ed il perchè.
Quello che prima sembrava un racconto umoristico, una presa in giro divertente, diventa una riflessione sul destino, se esiste oppure se siamo solo noi con le nostre azioni ad essere artifici della nostra fortuna, per parafrasare la famosa locuzione latina.
Ne La morte della Pizia si riflettesu cosa sia la Verità, e se esiste ed è conoscibile, e sul potere della Parola, in grado di plasmare le nostre azioni. Da queste riflessioni si giunge a dividere, partendo dai due protagonisti, assurdi a figure iconiche, l’umanità in due grandi categorie.
Come io ho voluto sottomettere il mondo alla mia ragione ho dovuto affrontare in quest’umida spelonca te che hai provatoa dominare il mondo con la tua fantasia, così per tutta l’eternità quelli che reputano il mondo un sistema ordinato dovranno confrontarsi con coloro che lo ritengono un mostruoso caos. Gli uni penseranno che il mondo è criticabile, gli altri lo prenderanno così come. […]
Gli uni ingiurieranno gli altri chiamandoli pessimisti, e a loro volta saranno irrisi da quelli come utopisti. Gli uni sosterranno che il corso della storia obbedisce a leggi ben precise, gli altri diranno che queste leggi esistono solamente nell’immaginazione degli uomini. il conflitto fra noi due, Pannychis, il conflitto fra il veggente e la Pizia divamperà su tutti i fronti.
Quella che all’inizio ci sembrava un’amena lettura diventa col passare delle pagine, pur mantenendo uno stile sempre molto leggero, una riflessione amara su come gli uomini si comportano e come cambino la vita degli altri tramite le parole.
La morte della Pizia di Friedrich Durrenmatt edito da Adelphi è quindi un testo con molte chiavi di lettura perfetto per passare una sera divertendosi ma al contempo riflettendo su delle domande tutti, almeno una volta, ci siamo fatti.