Una volta è abbastanza di Giulia Ciarapica

Una volta è abbastanza di Giulia Ciarapica, pubblicato da Rizzoli, è il primo volume di una trilogia che abbraccerà tutta la storia d’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi.

Questo romanzo è ambientato negli anni che vanno dal 1945, appena terminata la Guerra Civile, fino al 1965, cioè al Boom Economico.

Leggendo  mi è venuto in mente un vecchio libro di Cesare Marchi uscito nel 1988 e un po’ dimenticato: Quando eravamo povera gente, pubblicato anch’esso da Rizzoli.
Giulia Ciarapica fa la giornalista culturale per Il Foglio e per Il Messaggero e ha una trentina d’anni: è nata quindi quando crollava il Muro di Berlino. Nonostante la sua giovanissima però età è stata in grado di raccontare in maniera incredibilmente vera, vivace e a tutto tondo quando eravamo povera gente cioè com’era l’Italia dei nostri padri (o dei nostri nonni, a seconda dell’età che avete).

In Una volta è abbastanza, che è poi anche la storia di una famiglia e di un borgo marchigiano (Casette d’Ete, esiste davvero) noi possiamo ripercorrere la storia dell’Italia dal punto di vista economico, culturale e sociale.

Le protagoniste sono due sorelle, Annetta e Giuliana: due donne dal carattere estremamente forte, belle e con un gran fisico tornito come voleva la moda degli Anni 50; alla Marisa Allasio, potremmo dire. Si trovano a vivere nell’Italia della Ricostruzione e riescono a migliorare la propria esistenza: le Marche erano e sono un importante distretto calzaturiero (Diego Della Valle e il marchio Valleverde sono di quelle zone) e ambedue, ognuna per conto proprio e in maniera diversa, impiantare una piccola azienda. Ovviamente a carattere familiare, che è poi la cifra del nostro capitalismo.
Con Una volta è abbastanza Giulia Ciarapica riesce a raccontarci una maniera splendida cosa eravamo una volta, prima del Boom Economico e del benessere diffuso.

Ci riporta a una realtà che ci siamo dimenticati.

Oggi ci sono delle tendenze piene di rimpianto per i bei tempi andati, quelli prima dei social, prima del consumismo, prima del capitalismo. Prima del logorio della vita moderna per citare un carosello con Ernesto Calindri.

Una volta è abbastanza ci riporta, senza infingimenti o edulcorazioni, a questo mondo: quando un prosciutto ti doveva bastare per un anno intero; quando la fame si saziava con la polenta, perché gonfiava; quando l’appendicite si iniziava a curare mettendo del ghiaccio sulla pancia, che sfiamma; quando per un ago rotto si prendeva la bicicletta e si facevano chilometri per trovare un negozio che ne avesse.

Giulia Ciarapica racconta un’Italia povera, anzi neanche povera: misera. Una miseria atavica, che passa di generazione in generazione, dove il lavoro minorile è una cosa normale e scontata, e a otto anni i bambini sono già a faticare come gli adulti.

È un’Italia che abbiamo dimenticato forse anche perché la vogliamo dimenticare. Un’Italia dura, dove tutto girava intorno alla fadiga, per usare il termine marchigiano che l’autrice impiega.
A tal proposito, un inciso doveroso. Siamo abituati, dal punto di vista linguistico, a leggere frasi in romanesco (o romanaccio), oppure in napoletano: correttamente in Una volta è abbastanza i protagonisti, uomini e donne di incerta alfa parlano spesso fra di loro il marchigiano.

In questa Italia dove computer o fax non sono nemmeno nei racconti di fantascienza, ed anche il telefono nelle case è un lusso per pochi, la dimensione totalizzante e dolorosa del lavoro, della fatiga, è costante.

Uno dei passi più coinvolgenti, scritto con una passione così incredibile in una scrittrice trentenne, sta nel racconto del viaggio a Bologna.
Una delle due sorelle deve andare a vendere le scarpe che ha prodotto ai mercati generali di Bologna, e quindi prende un treno alle tre del mattino caricandosi i sacchi con le scarpe sulle spalle: lì potrà rivenderli, così da farli arrivare sui banchi degli ambulanti che girano nelle piazze dell’Italia centrale.

Il triste destino di un bambino che è una malattia alla pelle oggi perfettamente gestibile, ma allora una cosa mostruosa; lo stupore di avere una televisione in casa; l’imbarazzo di dover telefonare dall’unico telefono del paese, nel negozio in piazza, sperando che la bottegaia non sia troppo pettegola…

Da tanti piccoli bozzetti Una volta è abbastanza di Giulia Ciarapica ci fa rivivere un passato che per certe cose è lontano anni luce, ma per altre è solo dietro l’angolo.

Sono le storie che abbiamo sentito raccontare dai nostri genitori o dai propri nonni.
La narrazione ruota intorno ad Annetta e Giuliana e alla loro famiglia, e di conseguenza attorno al microcosmo di Casette d’Ete, ma questo diventa immagine di ogni piccoli paese italiano in quegli anni. Io stesso, leggendone, ho sentito molte simili somiglianze con i racconti di mio padre e mia nonna su com’era Marina di Carrara in quegli stessi anni.

Pur descrivendo un momento molto preciso, Una volta è abbastanza ha un respiro nazionale, come ogni vero romanzo popolare.

Riesce infatti a raccontarci, attraverso ognuno dei suoi personaggi, un qualche mutamento della nostra società e del nostro modo di essere. Questa cura non traspare solo nei protagonisti, ma anche nei comprimari; valga per tutti la figura del cognato.
Questi ha sofferto di una qualche forma di paralisi, e ha braccio e gamba come morti. È storpio (così lo definiscono: il politicamente corretto non esiste minimamente) e quindi inabile alla fadiga. La famiglia per questo lo ha fatto studiare, ed è maestro: è un modo di vedere le cose lontanissimo dal nostro, eppure probabilmente comune non più tardi di due generazioni fa.Non si può infine tacere del tema correlato a quello della fadiga, e cioè le scarpe. Annetta e Giuliana sono donne di profonde passioni: per gli uomini, per la famiglia, ma anche e soprattutto per il loro lavoro.

In Una volta è abbastanza di Giulia Ciarapica sgorga profonda l’attenzione e l’ammirazione per il lavoro dell’artigiano.

Le Marche sono ancora adesso un distretto calzaturiero, a differenza di Vigevano, luogo in cui si ambienta in quegli stessi anni Il maestro di Vigevano (capolavoro dimenticato della della letteratura italiana del secondo dopoguerra). Forse la presenza ancora viva di questa industria, che trae origine dall’artigianato di qualità, è alla base delle descrizioni traboccanti amore e dettagli.
Leggendo le vicende di Annetta e Giuliana assistiamo come presenti alla nascita di una scarpa, quando materiali grezzi ed umili vengono trasformati da mani sapienti in piccoli tesori.

Tre motivi per leggere Una volta è abbastanza di Giulia Ciarapica, pubblicato da Rizzoli?

Il primo è per fare un viaggio nel tempo e riscoprire come eravamo, il mondo da cui proveniamo.
Il secondo motivo è perché è una storia palpitante di uomini e di donne che attraversano litigi, amori, passioni, invidie, gelosie. Si tratta, come si sarebbe detto una volta, di un grande romanzo popolare.
Terzo motivo è trovare tra queste righe un amore profondo e incredibile verso la bellezza dell’artigianato italiano. Giulia Ciarapica con vera maestria nelle sue descrizioni ci fa vedere come nascono scarpe che sono piccoli oggetti d’arte, nella miglior tradizione italiana. 
E adesso… aspettiamo il secondo volume!

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