Adelphi ha pubblicato La ragazza del Kyushu di Seicho Matsumoto, e noi siamo felicissimi.
Seicho Matsumoto nasce in Giappone nel 1909 e muore nel 1992: è forse il più grande autore di gialli giapponesi, ma da noi è pressoché sconosciuto.
L’anno scorso Adelphi pubblicò Tokyo express: che sorpresa! Scoprivamo un autore incredibile, leggendo quel giallo lento, riflessivo, che andava a scavare nell’animo umano. Tutta la narrazione di Tokyo express, e la relativa indagine, partivano proprio da un dettaglio legato ai moti dell’animo.
Quest’anno Adelphi ha pubblicato La ragazza del Kyushu, la cui prima edizione è del 1961.
È un giallo, quindi c’è un delitto su cui investigare per capire chi è il colpevole, ma nel contempo è un romanzo serrato che analizza e mostra anche quali sono determinati sentimenti umani: principalmente il rimorso e la vendetta.
Per parlare della trama di un giallo bisogna sempre stare un po’ attenti, quindi mi attengo a quello che c’è scritto sulla seconda di copertina. A Tokyo, da Ōtsuka Kinzo, avvocato famoso e molto noto in tutto il Giappone, arriva Kiriko, una ragazza giovane, sui vent’anni. Viene a perorare la causa del proprio fratello, condannato come colpevole per un omicidio che però -sostiene- non ha commesso. In verità il fratello prima si era detto colpevole, poi aveva ritrattato: la sorella è certa della sua innocenza.
Il delitto è brutale: una vecchia usuraia è stata uccisa in casa a bastonate; dettaglio che secondo me rimanda al primo grandissimo giallo psicologico, Delitto e castigo di Dostoevskij. La ragazza viene dal Kyushu, una regione molto lontana, e non ha i soldi per pagare l’avvocato, ricco e famoso. Questi naturalmente non è interessato a perorare la causa.
«Pronto! Mi sente?» urlò Kiriko senza rendersene conto. «Credevo ci fossero avvocati che hanno a cuore la giustizia, e avevo sentito dire che Ōtsuka era uno di loro. Per questo sono venuta fin qui. Davvero non vuole aiutarmi?».
«È scorretto da parte sua farne una questione morale. La giustizia non c’entra» ribatté Okumura. «È una decisione che spetta solo a noi. E in ogni caso è stata imprudente a crearsi delle simili aspettative, e a partire senza sapere che le sue parcelle sono molto più alte della maggior parte degli altri avvocati. Inoltre al momento siamo molto impegnati».
L’avvocato rifiuta il caso, lei torna al suo paese e qualche mese dopo lei gli manda una cartolina.
La telefonata dalla cabina telefonica, la cartolina postale: sono molti i tanti piccoli dettagli che ci danno la cifra di questa storia, così vicina a noi per dinamiche eppure così lontana nel tempo.
«Avvocato Ōtsuka, nel processo di primo grado mio fratello è stato condannato alla pena di morte. Siamo ricorsi in appello, ma nel frattempo, mentre si trovava in carcere, il 21 novembre è morto in cella. L’avvocato d’ufficio non si è opposto all’accusa di colpevolezza, ma si è limitato a chiedere di prendere in considerazione le attenuanti. Mio fratello è morto nel disonore, come un comune ladro e un assassino».
Era scritta con una penna stilografica, i caratteri erano ben delineati. Ma Ōtsuka non riusciva a comprendere il significato di quella cartolina. Non aveva idea a che cosa si riferisse. […]
«Ah. Si tratta di quella ragazza venuta appositamente dal Kyūshū per affidarle un caso, credo fosse a maggio di quest’anno». «Dal Kyūshū?». «Sì. Il nome è quello, Yanagida Kiriko, ha parlato anche con lei. Avrà avuto circa vent’anni. Voleva che lei difendesse suo fratello, accusato di omicidio». «Ah!» fece Ōtsuka. «È lei quindi…». Aveva una buona memoria e se ne ricordò subito. Poi, gli occhi fissi sulla cartolina, aggiunse: «E così è morto in cella».
Ma in verità, quello che più di tutto lo colpiva era il fatto che fosse morto nel disonore, perché l’avvocato d’ufficio non era riuscito a provare la sua innocenza. Era come se gli stesse dicendo che era colpa sua, che non aveva voluto difenderlo. Tutto, in quella cartolina, lasciava trapelare il risentimento e l’ostilità nei suoi confronti. Era l’aver rifiutato per motivi di denaro a farlo sentire a disagio.
Questo è l’antefatto de La ragazza del Kyushu di Seicho Matsumoto.
Un ragazzo, forse innocente forse colpevole, muore in carcere nel disonore; secondo la sorella era innocente; un avvocato ha rifiutato di aiutarla.
Da questo punto in poi inizia la parte più propriamente gialla: l’avvocato si sente in colpa per non avere provato ad aiutarla, per averla liquidata in malo modo anche perché quel pomeriggio doveva andare a giocare a golf con la sua amante. Cerca di capire cosa è successo, ma questo lo fa nel mentre anche un giornalista che ha incontrato quella ragazza a Tokyo per caso.
È però un delitto successo mesi prima: non ci sono più le prove, né il cadavere, e la scena del delitto è stata ovviamente ripulita. L’unico modo per indagare allora è leggere quello che hanno scritto i giornali locali e chiedendo alla polizia gli atti delle confessioni. Non è molto, certo, ma in questo vediamo come sia un giallo d’epoca.
Non ci sono le indagini sul campo, periti, DNA, macchinari sofisticati, ma solo persone intelligenti che osservano, analizzano e intuiscono trovando qual è il dettaglio sbagliato e cercando di risalire alla verità.
Il giornalista è una figura non principale che indaga perché incuriosito e perché Kiriko, la ragazza del Kyushu, gli ha fatto tenerezza. Ōtsuka Kinzo è invece mosso dal rimorso e dal senso di colpa: avrebbe potuto aiutarla ed evitarle il disonore. Teniamo conto che si tratta del mondo giapponese: la colpa del fratello ricade anche sulla sorella minore, sorella di un assassino.
Passano i mesi, Kiriko prova a rifarsi una vita e da circa un terzo del libro iniziano a incrociarsi le vite della sorella del colpevole, di Ōtsuka, della sua amante, del giornalista…
Quella morte ha cambiato le persone: l’avvocato ha il tarlo del rimorso che lo rode dentro, la ragazza nutre il germe della vendetta. Quando si incontreranno di nuovo prenderà via un meccanismo che permette a Seicho Matsumoto di indagare il meccanismo della vendetta. Cosa vuol dire avere perso qualcuno di caro, una parte di cuore? Avere perso i sentimenti? È possibile diventare un’altra persona, fredda e gelida, che cerca solo la vendetta?
Tre motivi per leggere La ragazza del Kyushu di Seicho Matsumoto?
In primo luogo perché è un gran bel giallo di impianto classico. Proprio come nelle storie di Agatha Christie, dove usualmente c’era la pianta della casa in cui era avvenuto il delitto, qui c’è il disegno di come viene trovata la vecchia usuraia, circondata dagli oggetti presenti sulla scena del crimine: un bollitore per il the, due cuscini nuovi, un armadio con un’anta aperta e l’altra no, e un cassetto parzialmente tirato fuori. Da questi piccoli dettagli che apparentemente non significano niente l’avvocato riesce a capire cosa è successo veramente.
Il secondo è per il fascino del mondo giapponese. In fondo alla storia c’è un piccolo glossario di termini: le vestaglie che indossano quando vanno sul terrazzo a prendere il fresco, oggetti della casa che hanno una loro valenza nell’indagine, parti della casa.
È una perfetta ricostruzione dell’epoca e di un ambiente che per noi può risultare “esotica”, sicuramente fortemente estranea.
Ci sono ragazze (erano anche presenti in Tokyo Express) che per lavoro fanno le intrattenitrici di clienti maschili in bar: niente sesso, solo conversazione; una versione forse più moderna della geisha. C’è un mondo diverso dal nostro: il fratello che muore in carcere era un insegnante e il disonore della colpa non solo ricade su Kiriko, ma addirittura sul suo preside che si deve dimettere perché aveva questo maestro nella sua scuola.
Terzo motivo per leggere La ragazza del Kyushu di Seicho Matsumoto edito da Adelphi è l’indagine sull’animo umano. Che sia la vendetta, terribile fredda gelida come una lama di coltello, il senso dell’onore ferito, il rimorso, il dubbio che attanaglia, i personaggi di questi gialli vivono in pieno le proprie emozioni. Eppure le mostrano solo al lettore, non agli altri personaggi nella storia. L’un con l’altro sono estremamente timorosi e vergognosi di quello che provano, vivono con riserbo sentimenti esplosivi e dirompenti che li fanno agire. Dentro questi gusci apparentemente freddi ribolle un mondo che freme e che spinge a compiere azioni anche turpi.
2 pensieri su “La ragazza del Kyushu di Seicho Matsumoto”
Bellissima recensione ma avrei una domanda.
Perche non si e indagato sulle impronte digitali lasciate sul guanto di michiko dalla stessa kirino?particolare tralasciato?
Vi prego non dormo di notte datemi una mano…e’ una mia distrazione o dimenticanza dell autore??grazie mille
Ci ho pensato a lungo, e una spiegazione ci potrebbe essere: possibile che sul tessuto e sul pellame, quindi pure sui gunati, non restino le impronte digitali?