L’appeso di Conakry di Jean-Christophe Rufin pubblicato da Edizioni E/O è il giallo dell’estate!
L’autore è un medico, tra i fondatori di Medici Senza Frontiere e in seguito suo vicepresidente; dedicatosi alla carriera diplomatica è divenuto ambasciatore di Francia in Senegal; come scrittore dal 2008 siede tra gli Immortali di Francia, occupando il seggio 28 della Académie française: in ogni campo in cui si è cimentato ha raggiunto dei livelli di assoluta eccellenza.
Conakry è la capitale della Guinea (cosa che ho scoperto leggendo il libro): nel porto di questa cittadina sulla costa africana una mattina la gente vede una nave ormeggiata dal cui albero maestro penzola un cadavere.
Da questo spunto nasce un giallo godibile che va a ripescare secondo le atmosfere di Graham Greene, grande scrittore oggi purtroppo un po’ caduto nel dimenticatoio.
I romanzi di Greene principalmente erano di due generi diversi: quelle legati a temi forti (Il potere e la gloria sul massacro dei cattolici in Messico, Il nocciolo della questione sul suicidio) oppure spy story, romanzi di intrattenimento di alto livello, estremamente brillanti e veloci i cui punti di forza erano l’ambientazione e i tormentati ma umanissimi protagonisti (quello più famoso tra questi è Il nostro agente all’Avana).
Ne L’appeso di Conakry di Jean-Christophe Rufin abbiamo un protagonista e un’ambientazione squisitamente degne di Graham Greene.
Aurel Timescu è il viceconsole di Francia a Conakry: rumeno naturalizzato francese, ha la caratteristica di essere agli occhi di tutti un perfetto imbecille, un uomo fuori dal tempo e soprattutto fuori luogo.
Partiamo da come si veste, e ribadisco che siamo nella capitale della Guinea:
La sua abituale tenuta da ufficio si componeva di un completo a righine con la giacca a tre bottoni, una camicia col colletto a punta a cui gli innumerevoli lavaggi avevano conferito riflessi giallastri e una cravatta a strisce rosse e verdi. Quando usciva infilava sempre un lungo cappotto di tweed a doppio petto dal bavero largo che teneva accuratamente abbottonato. Per protestare contro la sorte ingrata che l’aveva esiliato in quella capitale africana si faceva un punto d’onore a non cambiare niente del suo consueto abbigliamento. Si vestiva come se fosse stato in pieno inverno nel suo paese natale, la Romania, o al limite nella sua patria d’adozione, la Francia, e più precisamente a Parigi. Per fortuna non sudava mai.
In pratica il viceconsole francese (che parla malissimo il francese) si veste come un matto. A un certo leggeremo che nella fretta infila un maglione a collo alto e poi si per abitudine si mette anche la cravatta. E dal momento che in Africa il sole è forte, inforca occhiali da alpinista.
Gli altri francesi lo prendono per un matto, nessuno lo tiene in considerazione, il suo superiore all’ambasciata non gli ha dato ufficio, ma solo uno sgabuzzino e lo lascia lì perché non lo può licenziare. Aggiungiamo che beve un sacco di vino bianco (che non regge) ed è a disagio nelle situazioni sociali.
Eppure questo disastro d’uomo è intelligente, brillante, un acuto giocatore agli scacchi: vivendo da sempre defilato e in ombra ha imparato a osservare gli altri.
In una vita precedente Aurel aveva desiderato lavorare nella polizia. Non si era mai rassegnato di non poter condurre indagini. Era una vocazione contrastata. Nell’attività poliziesca avrebbe applicato il proprio senso dell’osservazione e della psicologia, il proprio rigore da giocatore di scacchi, ed era convinto che l’avrebbe fatto con genialità. Ogni volta che si presentava l’occasione Aurel conduceva una propria inchiesta parallela a quella della polizia e a proprio esclusivo beneficio. Era un hobby, insomma, ma che doveva rimanere segreto e insospettato.
Il motore della vicenda in L’appeso di Conakry di Jean-Christophe Rufin è proprio Aurel Timescu, questo improbabile questo “idiota sapiente” che vuole vederci chiaro nell’omicidio del suo connazionale. Il morto era pieno di soldi però, come fa presenta alla polizia, perchè appenderlo all’albero maestro della nave, se è solo un omicidio a scopo di rapina? C’è qualcosa dietro.
Parte una investigazione privata con quasi nessun mezzo a disposizione: deve chiedere in prestito un computer e una connessione internet e dal momento che è un bianco ridicolo gli altri bianchi non si fidano di lui e la popolazione africana è abbastanza diffidente.
Con solo l’ausilio del tuttofare dell’ambasciata indaga, suonando il piano per rilassarsi e mettere a fuoco il mondo del morto, inizia a ricostruirne tutti i rapporti lavorativi e personali alla vecchia maniera, perché non ha nessuna attrezzatura contemporanea.
Il protagonista de L’appeso di Conakry di Jean-Christophe Rufin è solo un uomo intelligente e caparbio che indaga, dotato praticamente solo del proprio intuito, fino a capire cosa non quadra nella ricostruzione della polizia.
Perché naturalmente, sia la polizia locale che i gendarmi del consolato francese che per competenza si interessa del delitto, non sono molto sveglie e competenti.
Quando finalmente Aurel Timescu ha l’intuizione definitiva, dopo una serata dove è completamente ubriaco e mezzo nudo (fa caldo e almeno a casa sua sta mezzo nudo), corre fuori ma infilandosi la prima cosa che gli capita sotto mano: il maglione a collo alto con la cravatta e poi un paio di pantaloni da golf.
Notevolissima è l’ambientazione: un’Africa contemporanea ma indubbiamente ma con dei colore e dei sapori coloniali.
Gli africani sono diffidenti e servili (ma non troppo) verso la colonia di francesi che vive l’Africa come se fossimo ancora negli Anni Cinquanta. Nei club esclusivi, rinfrescati dall’aria condizionata e lontani dai nativi, i francesi rimpiangono i bei tempi dell’impero coloniale. Viene citata spesso la Guerra d’Algeria (1954-1962) e i buoni borghesi francesi di Conakry continuano a pensare, dopo oltre 50 anni, che De Gaulle è stato un traditore e che gli intellettuali francesi abbiano fiaccato il morale della popolazione.
Questi elementi (che forse Jean-Christophe Rufin ha tratto da sue esperienze in prima persona, visto che è ambasciatore in Senegal) contribuiscono a porre il romanzo un po’ fuori dal tempo, a renderlo contemporaneo ma non troppo.
Tre motivi per leggere L’appeso di Conakry di Jean-Christophe Rufin edito da Edizioni E/O?
Il primo è la bellissima ricostruzione dell’Africa, contemporanea ma quasi fuori dal tempo. Non è l’Africa violenta degli slum e delle megalapoli, non è l’Africa del Maghreb sconquassata da tensioni religiose o politiche. Questa Africa indolente e pacifica è un’Africa diversa da come siamo abituati a pensarla oggi.
Il secondo è che si tratta di un gran bel giallo “classico”. Il caso viene risolto con intuito ed anche una profonda empatia nei confronti del morto e dei suoi famigliari (in questo caso la sorella). Chiacchiere nei club, conversazioni davanti a un caffè, pettegolezzi alle feste mondane e tanto intuito: ecco gli strumenti impiegati per capire cosa è successo nel porto di Conakry.
Il terzo motivo è proprio Aurel Timescu, l’improbabile viceconsole francese a cui non daremmo due lire.
Oggi siamo subissati da gialli seriali, i cui protagonisti continuano tornano volume dopo volume. Aurel Timescu con il suo pianoforte, il tocai, il rimpianto per una Bucarest che non ha mai vissuto (quella degli Anni Venti, mentre lui ha imparato a dissimulare la propria intelligenza perchè cresciuto sotto il comunismo di Ceausescu) è un protagonista che mi piacerebbe vedere moltissimo in tante altre storie!