Noi non abbiamo colpa di Marta Zura-Puntaroni pubblicato dalla minimum fax è un romanzo che racconta la malattia, la vita nei piccoli paesi e i molti modi in cui il tempo può essere vissuto.
La trama è molto semplice: la protagonista deve tornare nel proprio paese natio perché la nonna si sta aggravando per l’alzheimer. La nipote non è assolutamente in grado di dare un apporto pratico, allo stesso modo della madre Antea. A Carlantonia ci pensano le badanti, ma la sua presenza è richiesta al paese e nella casa di famiglia per motivi forse principalmente psicologici, e per risolvere magari qualche piccola incombenza pratica.
Solo questo perchè, come la protagonista ammette, Carlantonia ci ha cresciuto e ha badato a noi, eppure noi adesso non siamo capaci di badare a lei.
Il tempo di Carlantonia è un tempo inesistente. Siamo davanti a una donna ormai non più presente a sè stessa, che viene portata sulla sedia a rotelle nel portico di casa perché prenda un po’ di sole ma non riconosce nessuno.
Il tempo intorno a lei è circolare, scandito dalle varie badanti che arrivano e che la nipote chiama dapprima Prima Badante, Seconda Badante per poi impararne i nomi.
Ogni volta è la stessa trafila: arriva una nuova badante, sembra che vada bene, qualcosa non funziona, questa donna se ne va, Antea ha bisogno di trovare una nuova badante, si angoscia e poi la trova. Davanti a questo tempo circolare la protagonista almeno i primi tempi può solor accogliere gli sfoghi della madre al telefono.
Il tempo non esiste neanche nel paese natio dove ella torna.
Noi non abbiamo colpa di Marta Zura-Puntaroni pubblicato dalla minimum fax racconta in una maniera strepitosa la dimensione umana dei paesi.
Ora sono settanta anni della morte di Cesare Pavese, che ne La luna e i falò scrisse una delle frasi più famose su questo argomento:
Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
Anche Marta ha abbandonato il paese e tornando una certa insofferenza è superata dall’aspetto che il paese, col suo essere sempre uguale a sè stesso, emana una solidità psicologica e sociale.
Quando torno al paese non ho bisogno di avvertire nessuno perché subito notano la mia macchina nel vialetto, e nel giro di poche ore tutti sanno che sono tornata. Mi ha detto – il benzinaio, il parrucchiere, la farmacista, la commessa del supermercato, chiunque abbia incontrato una delle tante persone che mi hanno visto parcheggiare scaricare i bagagli – che sei tornata. […] Dovrei essere irritata dal provincialismo di non poter attraversare la strada senza che tutti sappiano dove sei, invece quello che per altri sarebbero chiacchiere impiccione, se non malevole, mi fanno sentire benvoluta: fuori da qui la mia presenza passa inosservata, in città nessuno sa di chi sono figlia, a che famiglia appartengono, a nessuno importa se ci sono o meno.
Il paese, dove il tempo non passa perchè tutto è uguale a sè stesso, riesci a offrire quelle certezze che la protagonista può contrapporre davanti al lento disfacimento della nonna.
Non si tratta della morte, infatti, un accadimento chiaro, tangibile e doloroso. Carlantonia vive un lento sfaldarsi della memoria, della personalità e dell’essere.
Il tempo nel paese è così immutabile che la sera
ci si trova in piazza, e se in città si potrebbe chiedere quale piazza, il paese ha una sola piazza, e il problema non si pone. Ci sono tre bar, uno che non abbiamo mai frequentato, uno che frequentavamo e per qualche motivo dimenticato – forse uno sgarbo fatto dal barista a una delle mie amiche? – non frequentiamo più, e quello che frequentiamo adesso, ovvero da circa cinque anni.
[…] mi basterebbe presentarmi alle dieco in piazza per essere sicura di trovare una sedia a qualche tavolo: anche quelli con cui non ho mai parlato hanno un’idea piuttosto precisa di dove mi collloochi, di quanti anni abbia, di quali rapporti le persone più vicine a me abbiano intrattenuto con le persone più vicine a loro.
Tutto il romanzo si svolge principalmente nell’estate del ritorno di Marta al paese, dandole occasioni di descrivere il mondo naturale che la circonda, o quello degli uomini decadente e degradato, con grande afflato lirico, con una prosa musicale e certe volte quasi pittorica.
Se il tempo è fermo per Carlantonia e per il paese tutto, scorre invece nel passato e nel presente.
Noi non abbiamo colpa di Marta Zura-Puntaroni pubblicato dalla minimum fax raccontata com’era questa nonna da giovane, o meglio, chi era quella giovane in una civiltà completamente diversa da noi.
Marta è conscia di appartenere all’ultima generazione che potrà sentire dal vivo racconti di un mondo vicino nel tempo -alla fine si tratta di due generazioni- ma così lontano.
Il momento in cui la nonna conosce il nonno, mentre bisogna conservare le pannocchie di granoturco per imbottire i materassi, racconta con con semplicità e partecipazione un mondo contadino sparito, un raro momento romantico in questa vicenda che ricostruisce anche un passato lontanissimo.
Il tempo scorre anche nel passato della protagonista, fatto di aneddoti e ricordi di questa nonna dura, scostante eppure presente: sono i ricordi dell’infanzia di Marta, fatta di favole con una morale che oggi non sarebbero più raccontate perchè crudeli, fatta di screzi tra i membri della famiglia, tutti rigorosamente femminili.
Marta, Antea, Carlantonia, Laura, Nannina, Cecilia, le badanti: le figure maschili sono pressoché assenti in questa famiglia matriarcale, sia nel passato che nel presente.
Il tempo scorre infine anche nel presente di Marta e della sua famiglia, Carlantonia a parte: qui si affaccia un futuro incerto che mentre l’estate si dipana, altre vicende prendono piede ed evolvono, andando ad aumentare l’incertezza e il senso di inadeguatezza che è della protagonista ma anche, ampliando, della sua generazione.
Eppure, per fortuna viene da dire, tutto questo all’interno del paese, una coperta di Linus che riesce a dare un certo senso di sicurezza grazie ai suoi riti, alle amicizie decennali, agli incontri fortuiti.
la musica che mandano nel nostro bar non supera mai gli anni Novanta, forse per nostalgia, forse perché non è mai arrivato altro. Spesso sono gli stessi pezzi che hanno suonato le orchestrine che ascoltava mia madre o persino mia nonna, e forse sono gli stessi perché bar, ristoranti e locali passano da padre in figlio e le madri danno gli stessi nomi ai loro figli, e tutto si ripete e resta sempre uguale impedendoci di andare via veramente. Come capita, sta capitando, con me, come capita, sta capitando, alle mie amiche attorno a me.
Tre motivi per leggere Noi non abbiamo colpa di Marta Zura-Puntaroni pubblicato dalla minimum fax ?
Il primo è la prosa ricercata, ricca di sonorità, specialmente quanto racconta il mondo della natura. Ne fa testo l’incipit:
D’estate al paese caldi tropicali e umidi riducono i sottovasi delle piante a vivai brulicanti di larve di zanzare, appiccicano le canottiere alle spalle rosse dei contadini, creano brume nelle pieghe dei colli, infiammano i campi: gli sterpi del grano mietuto diventano aghi acumbinati che bucano le suole dei sandali. Nei pochi giorni di gioia i girasoli aprono le corolle, illuminano le colline di gialli abbaglianti, come a voler godere tutto quello che c’è da godere nella loro vita breve vegetale, già rassegnati a sfiorire, perdere i petali e chinare grossi capi bruni e tristi sotto l’ardore di agosto.
Il secondo è la capacità di Marta Zura-Puntaroni di creare una poetica intorno alla dimensione del piccolo paese italiano, tema un po’ negletto nell’ultimo periodo: Marta ci riesce benissimo.
Il terzo è il profondo senso di empatia che riesce a sviluppare nei confronti di protagonisti che francamente sono antipatici: ad esempio in famiglia sono i primi a riconoscere che la la nonna è un diaulu. In Noi non abbiamo colpa di Marta Zura-Puntaroni pubblicato dalla minimum fax ci sono molti momenti dolorose, descritti senza giri di parole – come ci aveva abituati nel suo primo romanzo Grande Era Onirica – ma ognuno di questi Marta racconta in una maniera tale da trasmetterci completamente la sofferenza, l’ansia, o il sollievo della protagonista, è questo è qualcosa di veramente raro.