Un posto tranquillo di Matsumoto Seicho pubblicato da Adelphi è una ulteriore prova di come questo autore di gialli giapponesi da poco riscoperto sia uno scrittore grandissimo.
Ero rimasto colpito subito da Tokyo Express e la passione per i romanzi di questo autore era stata confermata l’anno scorso da La ragazza del Kyushu. Adesso, con Un posto tranquillo sono rimasto stupefatto da come questo scrittore riesca a tenermi inchiodato sul suo libro.
Soprattutto pensando che in questo giallo – definizione non calzante in realtà – non c’è neanche un delitto.
Un posto tranquillo di Matsumoto Seicho inizia con un cadavere: la bella Eiko muore d’infarto e la notizia è comunicata al marito Tsuneo Asai durante una cena d’affari.
Asai è un uomo distrutto, innamorato com’era della moglie più bella, più giovane ma sofferente di cuore. Non che il loro fosse un gran matrimonio, però: Asai è un uomo che lavora nella pubblica amministrazione, sezione agricoltura, non bello o particolarmente brillante e con la moglie più giovane facevano vite abbastanza lontane, per interessi e temperamento.
Quello che ad Asai proprio non torna è cosa ci facesse Eiko a Yoyogi, ameno quartiere collinare di Tokyo.
Questa è una delle caratteristiche ricorrenti nell’opera di Matsumoto Seicho: i piccoli dettagli dissonanti.
In Tokyo Express c’era uno scontrino della carrozza ristorante che dava dei sospetti agli investigatori, come ne La ragazza del Kyushu c’erano cuscini e un guanto che non dovevano essere come erano.
Ed ecco così che in Un posto tranquillo ci si chiede cosa faceva Eiko in quella stradina di Yoyogi, lei che stava percorrendo una salita tra le case del quartiere, ma si sente male, chiede aiuto e muore in una anonima profumeria.
Il marito non è convinto: cosa ci faceva lei lì, in un quartiere dove non c’è niente di rilevante, dove non abitano amici, dove ci sono solo anonime abitazioni e una profumeria?
A me è venuto in mente, spero che ad Adelphi perdonino il paragone, la zingarata del vedovo: il professor Sassaroli dice all’affranto vedovo «Non bisogna mai andare in Germania, Paolo».
Asai va a Yoyogi perché vuole capire come mai sua moglie è morta proprio.
Quest’uomo è un grigio burocrate, ve l’ho detto, non è un investigatore. È solo un uomo che cerca la verità in qualche maniera, prima chiedendo in giro e poi, visto che non procede, paga un’agenzia investigativa.
Asai cerca la verità, ma sarà in grado di affrontarla?
La situazione mi ha ricordato Codice d’onore, quel gran film dove Tom Cruise, avvocato, accusa Jack Nicholson colonnello dei marines.
«Tu vuoi delle risposte?».
«Io voglio la verità».
«Tu non puoi reggere la verità!»
Asai non può reggere la verità a cui riesce ad arrivare in maniera molto faticosa, mentre si immagina la la fatica che la moglie ha sopportato mentre saliva la strada ripida tra le case.
Asai prima incappa in piste sbagliate poi arriva un sospetto, poi un altro piccolo particolare che non torna e alla fine capisce: se tu non puoi reggere la verità cosa ti succede?
Per due terzi Un posto tranquillo di Matsumoto Seicho è la storia di un uomo che cerca la verità.
Per il terzo successivo è in cosa la verità trasforma un uomo, e la storia un viaggio nelle ombre dell’animo.
Io penso di averlo letto in due notti per la costruzione di un protagonista, perfetto uomo senza qualità, che piano a piano cambia. Oppure rivela quello che è sempre stato.
Non si può dire di più perché qualsiasi altro riferimento sarebbe troppo ma sappiate che negli ultimi quattro o cinque capitoli la narrazione va diretta come una palla da biliardo sul panno verde ben teso. La storia acquista velocità, ci mette l’ansia addosso: noi leggiamo e trepidiamo con e per Asai.
Tre motivi per leggere Un posto tranquillo di Matsumoto Seicho pubblicato da Adelphi?
Il primo è perché ancora una volta siamo di fronte a una narrazione di altissimo livello dei moti dell’anima. Quelli di Asai, certo, ma non solo.
Il secondo motivo perché ancora una volta ci immergiamo in una efficace ricostruzione della cultura giapponese. La storia è ambientata negli Anni Settanta quandi ormai la trasformazione del Giappone in una diciamo “società occidentale” è quasi completa, eppure persistono ancora sacche del mondo tradizionale.