La signorina Crovato di Luciana Boccardi pubblicato da Fazi Editore potrebbe essere un romanzo russo dell’Ottocento.
Ci sono suonatori di musica girovaghi, zingare sensuali, funzionari statali arcigni e malvagi, un sacco di parenti, la contrapposizione tra la bella vita della città e la povertà e la semplicità della campagna, e anche tanta sfortuna.
Eppure non è un romanzo che ha per sfondo San Pietroburgo ai tempi dello Zar: è ambientato a Venezia tra il 1932 il 1949 perché questa è l’autobiografia – il primo di tre romanzi – di Luciana Boccardi, giornalista di moda e di costume che ha collaborato con la Biennale di Venezia.
In questo primo volume racconta la sua vita avventurosa e turbinosa da quando succede quella che lei, e la sua famiglia, chiama “la disgrazia”.
Siamo nel 1936 e lei è una bambina di tre anni figlia di un musicista che suona il clarinetto e il sax ma che è antifascista, e questo nella Venezia degli Anni Trenta è un grosso problema lavorativo e sociale.
Sua madre è una coraggiosa signora che suona il piano, dà elezioni e si ingegna in modo modo di mantenere la famiglia quando accade “la disgrazia” e il padre non può più lavorare. Per fortuna ci sono i nonni materni, ligi e seri borghesi con il cuore ancora ai tempi dell’impero asburgico e rispettosi del governo, qualunque esso. Inevitabili le discussioni con il genero sovversivo.
In La signorina Crovato di Luciana Boccardi noi ci troviamo davanti a una bambina, una giovane donna, una ragazza decisamente sfortunata che deve lottare contro povertà, limitazioni imposte dalla dittatura, guerra e fame.
Tutto questo, che ai nostri occhi sembra una sequela di incredibili sfortune, era però la normalità, la vita che bene o male hanno vissuto quasi tutte le donne e gli uomini in quegli stessi anni.
Alcuni dei suoi racconti mi hanno fatto venire in mente quelli di mia nonna.
Luciana vive in una famiglia così povera che viene mandata a vivere in campagna, dove si dorme su materassi riempiti di foglie di granoturco crocchianti, e se ci si muove troppo le foglie fanno rumore e ti svegliano: queste sono storie che ho anch’io dalla viva voce di componenti della mia famiglia.
La signorina Crovato di Luciana Boccardi racconta una vita normale che a noi sembra terribile, ed un po’ lo é: bambini di dieci anni già mandati a lavorare come piccoli adulti (mia nonna entrò in fabbrica a dodici), la difficoltà letterale di mettere insieme il pranzo con la cena, la penuria di scarpe.
Nonostante questo, Luciana Boccardi mai indulge nel patetismo o nella rabbia o nell’astio.
Noi leggiamo la vita di una bambina che già a sei anni già non sa più qual era la sua casa perché continua a essere sballottata da una parte e dall’altra. Il padre sta male e non lavora, e anche se la madre fa i salti mortali i soldi non bastano: la soluzione è essere mandata a pensione in campagna, dove lavorare al fianco dei contadini con mansioni adatte alla sua età. E allora sono settimane e mesi di colazioni misere con polente latte per poi rigovernare gli animali tutto il giorno nei campi.
Luciana Boccardi mai mostra rabbia nei confronti dei genitori (e in qualche caso ne avrebbe ragione) o della società: è sempre estremamente pratica – non vogliamo dire solare – nell’affrontare le tribolazioni.
È dell’idea, secondo me è giustissima, che nella vita le sfortune succedono e allora l’unico modo per affrontarle è stringere i denti e andare avanti.
Una grande lezione che un po’ si è persa in questi anni.
A pensarci dal 1936 al 1949 succedono veramente tante cose, che a noi sembrano e sono terribili, tanto più se sei una bambina, come era Luciana Boccardi allora.
A questa lezione si unisce nella narrazione, piena di avvenimenti e colpi di scena degni davvero di un romanzo ottocentesco, la minuta e precisa descrizione delle molteplici identità sociali dell’epoca.
Vediamo sfilare davanti ai nostri occhi funzionari e lavoratori, musicisti e bottegai, i piccoli imprenditori e i disperati nelle osterie.
Ci troviamo davanti alle brucianti differenze tra le classi sociali: la famiglia borghese decide di non far più giocare Luciana con le proprie bimbe perché si è venuto a sapere che il padre ha idee politiche sbagliate, e allora quella gente lì meglio non frequentarla.
Vediamo la vita dei contadini poveri: se spesso quando si racconta della campagna c’è il rischio di cadere nel bucolico, ne La signorina Crovato di Luciana Boccardi non si indugia mai nel facile sentimentalismo. La campagna, almeno prima del Boom, non era un posto così bello e vivibile: la semplicità e l’assenza di lusso erano anche e soprattutto gravi limitazioni alla vita di tutti i giorni.
Questo mondo e queste esperienze, oltrechè leggerle, possiamo ancora sentirle dalla viva voce di Luciana Boccardi.
Ci sono varie sue interviste su youtube che io vi consiglio di andare a sentire, anche per rendervi conto di come questa donna che è quasi sulla novantina sia ancora briosa e piena di spirito e come tutto quello che ha vissuto, almeno nella prima fase alla sua vita, non l’ha assolutamente piegata.
Tre motivi per leggere La signorina Crovato di Luciana Boccardi pubblicato da Fazi Editore?
Il primo è perché un viaggio in un passato che ci sembra lontanissimo eppure è dietro l’angolo: è la storia dei nostri nonni – almeno, per per la mia generazione – ed è una storia fatta di zoccoli di legno, di servizi igienici carenti, e di una estrema semplicità che potrebbe essere quella di un romanzo dell’Ottocento. Invece è il nostro passato prossimo.
Il secondo è sicuramente per la descrizione minuta ma precisa, mai pedante, di tutto un sistema familiare, sociale, politico ed etico nell’Italia di quegli anni.
Dalla minuzia dello zoccolo di legno al corso di stenografia, all’arrivo dei primi turisti alle colazioni con latte e polenta, veniamo catapultati dentro la realtà vissauta dalla protagonista.
Il terzo motivo, senza dubbio alcuno, è la personalità della protagonista. Luciana Boccardi non si piega, non si lagna, non si chiude in se stessa ma sgomita per diventare qualcuno.
Nonostante “la disgrazia” accaduto al padre che rovina in una certa maniera la sua famiglia, nonostante non riesca a studiare come vorrebbe, nonostante tutte le difficoltà che affronta non si perde mai d’animo. Se viene licenziata per delle piccolezze cerca un altro lavoro, se vuole imparare a dattilografare ci riesce, nonostante abbia una macchina da scrivere fallata.
Questa donna che non cede, che non si fa piegare, che stringe i denti e va avanti secondo me è un esempio da tenere a mente davanti alle avversità che ci troviamo ad affrontare.