Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR è un thriller di biondi: ci sono tre sorelle bionde, ci sono tre uomini biondi e c’è un quarto uomo che non è più biondo solo perché ha perso i capelli.
Quando lo definisco “thriller” non dobbiamo pensare alle opere di Donato Carrisi, per fare un nome contemporaneo. Non ci sono serial killer, budella sparse ovunque, misteri fumosi.
Questo romanzo è del 1952, e dobbiamo intendere “thriller” nella maniera più hitchcockiana possibile.
Un bacio prima di morire di Ira Levin sarebbe stato il film perfetto che avrebbe dovuto girare Alfred Hitchcock, ed io mentre leggevo di queste tre sorelle bionde mi figuravo Kim Novak, Tippi Hedren e Grace Kelly.
Ira Levin è stato autore anche, tanto per parlare di libri e film, de I ragazzi venuti dal Brasile e Rosemary’s baby.
Nel romanzo ci mostra costantemente quello che sta succedendo e non ci nasconde nulla, eppure lo fa in una maniera tale da metterci non a disagio ma, sempre parlando con gergo cinematografico, con le mani avvinghiate ai braccioli se fossimo in un cinema.
Quello che ci scorre davanti agli occhi è la vita e le aspirazioni di un uomo dall’animo nerissimo.
Prendete Bel Ami di Maupassant ma rendetelo ancora più egoista, cinico ed egoriferito. Il protagonista maschile è in Bel Ami plasmato nella società capitalistica statunitense, quella con il mito del self made man, che vuole diventare qualcuno perché sente che deve diventare qualcuno e lo diventerà costi quel che costi.
Nel primo capitolo la fidanzata è inavvertitamente rimasta incinta e questo gli appare come un problema per la sua realizzazione personale.
Quello che poi succede andando avanti è qualcosa di terribile perché naturalmente in Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR muoiono persone.
Questo è uno di quei casi è meglio non fare alcun riferimento alla trama, a parte giusto l’inizio, perché toglie il piacere di seguire la potenza del narratore che non nasconde mai nulla. Non siamo davanti a un giallo dove c’è il morto e dobbiamo risalire a come è stato ucciso: quando muore la voce narrante è molto chiara.
Nonostante questo, quando sono arrivato a pagina 210, quindi più o meno due terzi, ho sobbalzato.
Non era possibile, c’era qualcosa che mi era sfuggito. Sono andato a rileggere le due o tre pagine precedenti, eppure avevo letto bene e non mi ero perso alcunchè. Allora sono riandato al primo capitolo e ho iniziato a rileggere, ma anche lì non mi era sfuggito nulla. Sono andato mi sembra al quarto capitolo, quando Levin descrive una certa cosa: anche lì non mi ero distratto nella lettura. Eppure…
Ira Levin, mago della narrazione, non nasconde niente ma con una “onesta dissimulazione“, per usare il linguaggio dei gesuiti del Seicento, ci mostra senza mentire quello che ci vuole far vedere.
Fino al grande colpo di scena che ti prende alla sprovvista.
Da quel momento in avanti la storia diventa ancora più terribile, e veramente il protagonista non ha alcuna giustificazione e ci è impossibile empatizzare con lui.
Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR per certe scene poi addirittura anticipa Hitchcock e La donna che visse due volte, che è del 1958. Anche qui l’occhio del narratore, ma è forte la tentazione di parlare di “obiettivo della cinepresa”, in determinate scene scene drammatiche segue i protagonisti nello svolgimento dei fatti indugiando e accelerando su di loro.
Mentre le pagine, e le immagini, ci scorrono davanti, noi restiamo col fiato sospeso perché intuiamo già quello che succederà.
Levi, come Hitchcock, conosce il principio del “fucile di Cechov”: se io metto un fucile nella prima scena, quel fucile poi sparerà. In Un bacio prima di morire sappiamo quello che succederà ma, anche se in un certo senso è una scena già annunciata, noi ugualmente siamo in continua fortissima trepidazione.
Sulla trama ho già detto troppo.
Posso aggiungere solo che sul finale scorrono una serie di scene e di ambientazioni che portano alla pura “poesia dell’industria”.
Può sembrare una cosa strana parlare di poetica del mondo industriale e del lavoro al di fuori magari di Majakovskij e dei poeti sovietici postrivoluzionari. Eppure in Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR la narrazione come una cinepresa plana dall’alto e descrive l’industria, il fuoco e la sua potenza, conquistando il lettore e prendendolo per mano. Levin ci fa vedere quello che vuole farci vedere, ci fa intuire quello che succederà e non riusciamo a staccare gli occhi: guardiamo in un abisso e l’abisso guarda in noi.
L’abisso è l’animo del protagonista, attorno cui ruotano tre bionde, tre sorelle tutte molto diverse l’una dall’altra.
Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR ti prende per mano e non ti lascia più fino al finale sfolgorante e potentissimo all’insegna della poesia del mondo industriale. Mutans mutandis nel leggerlo ho pensato alla descrizione che Luciano Bianciardi ne La vita agra fa del mondo dei travet, del mondo grigio del boom industriale a Milano negli anni Cinquanta. Anche se naturalmente la grande industria statunitense non è Milano, siamo nello stesso periodo e c’è pur sempre un sentimento similare, secondo me.
Curiosamente da Un bacio prima di morire hanno tratto due film tutti e due particolarmente brutti, mentre purtroppo Hitchcock non ci ha mai lavorato. In ogni caso penso che quando voi arriverete a pagina 210 come me capirete anche quanto con una cinepresa sarebbe stato arduo rendere appieno la “onesta dissimulazione” della narrazione che Levin ha impiegato, nonostante sia un libro estremamente visivo.
Mano a mano che la narrazione si dipana ci sfilano davanti sordide stanze, poveri monolocali, appartamenti di ricchi, campi, bar e tavole calde, tutta l’America degli Anni Cinquanta come nei quadri di Rockwell, noi le vediamo davanti ai nostri occhi in una maniera tale che non riusciamo a staccarcene.
Non avevo mai letto niente di Levin e per me è stata una grande sorpresa.
Un bacio prima di morire di Ira Levin pubblicato da SUR è un thriller alla vecchia maniera, un thriller hitchcockiano, dove amore e morte sono drammaticamente legati e che ci tiene incollati alla poltrona, come fosse un film.