L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson

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L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson pubblicato da Iperborea è un romanzo che può essere raccontato in maniera diversa.
Si può dire che è un romanzo del 1929 di uno dei più grandi autori islandesi, ambientato in Islanda tra il 1802 e il 1817; un romanzo fatto di solitudine, di silenzi e di dubbi esistenziali.
Però a dirlo così magari potrebbe interessare soltanto a una piccola fascia di lettori, e sarebbe davvero un peccato.

Perché L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson è anche un legal thriller e un crime dove amore, morte, gelosia e chiacchiere la fanno da padroni.

Nel 1817 Eiùlvur Kolbeinsson, giovane vicario della Chiesa Nazionale d’Islanda, luterana, racconta i fatti avvenuti quindici anni prima. A Syvendeaa, fattoria isolata anche per gli standard islandesi del 1802, al fattore Bjarni muoiono i due figli maschi, i suoi due “contadinelli” come li chiama, quelli che lo aiutavano portare avanti la fattoria. Si vede costretto a prendere un fittavolo in casa.
Bjarni è un bell’uomo muscoloso biondo e prestante; la moglie Gudrun è sempre malaticcia e fiacca. Il nuovo fittavolo è Jon, omino da poco e perbene sposato alla bellissima Steinunn: quando ella incede gli uomini si confondono, qualcuno la guarda e qualcuno abbassa gli occhi quasi imbarazzato da tanta bellezza.
Come può andare a finire una storia del genere?

Che qualche tempo dopo gli abitanti della zona vanno dal vicario a raccontargli che il povero Jon è morto cadendo da una scogliera, e il corpo disperso; iniziano le chiacchiere.

Dopo qualche tempo Bjarni porta in chiesa per la sepoltura la cassa con Gudrun, morta di malattia: per dare idea di quel mondo sospeso e vuoto che era l’Islanda, Eiùlvur lo accoglie osservando che non si vedevano da due anni, dal funerale dei figli.
La gente dei dintorni però reclama che la cassa sia aperta per accertarsi che Gudrun sia morta di morte naturale.

Da qui inizia quella vicenda quella che secondo alcuni rende L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson antesignano del noir scandinavo. L’insistenza delle voci sulle morti non casuali porta la vicenda fino al tribunale locale mentre il giovane vicario non sa come si deve comportare con Bjarni e Steinunn: questi due potrebbero essere degli “amanti diabolici” per usare una espressione da rotocalco popolare, potrebbero avere violato la legge di Dio e quella degli uomini ed essere colpevoli di adulterio e di duplice omicidio. Oppure no.

Il processo prevede che si interroghino le persone “informate dei fatti”, ma è un mondo così diverso dal nostro che a un certo punto il giudice si stupisce che uno dei testimoni non ricordi bene, l’incontro con Jon era stato solo sei mesi prima.

Si tratta di una realtà statica, fattorie così isolate nel nulla dove ogni giorno è uguale al precedente: si portano fuori gli animali, si cerca del foraggio e poi si torna a casa, dormendo nel sottotetto, appena sopra gli animali che almeno scaldano. Tutti i giorni così, per i mesi del lunghissimo inverno: e allora incontrare lungo un sentiero qualcuno, come Jon, diventa un avvenimento.

Ne L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson pubblicato da Iperborea abbiamo forse due amanti diabolici, perchè non si sa se sono amanti e se sono colpevoli.

Abbiamo il vicario che è tormentato perché lui vorrebbe tenersi lontano dalla vicenda eppure ha un obbligo anche verso il resto della sua comunità. Abbiamo una comunità di gente povera che vivacchia all’interno di una economia di sussistenza e che hanno visto o sentito qualcosa, che forse è significativo e forse no. Non abbiamo invece i corpi delle vittime. Al processo quando l’autorità giudiziaria chiede perché non è stato chiamato un medico per esaminare il corpo di Gudrun, e anche la spiegazione ci mette davanti ad un modo lontanissimo da noi. Era appena iniziato il disgelo, erano stati dei lunghi mesi di fame, il medico più vicino era a tre valli di distanza: da che si mandava un debole e sfinito parrocchiano per tre valli a chiamare e questi sarebbero ritornati il cadavere sarebbe andato in putrefazione.

Davanti a tutto questo le autorità giudiziaria non sanno cosa fare, se non sperare che Bjarni e Steinunn confessino la verità, e per fare questo l’uomo giusto potrebbe essere il pastore spirituale della comunità, il vicario Eiùlvur.

L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson pubblicato da Iperborea è un romanzo estremamente appassionante che non essere riassunto definendolo una storia di amore e morte nell’Islanda ai primi dell’Ottocento, perché questo terrebbe un po’ lontano -secondo me- il lettore medio.
Questa è una storia dove tutti hanno una propria versione della verità, che sia la sorella di Gudrun, il fratello di Bjarni o i bambini; perché ci sono anche dei bambini. Forse colui che maggiormente ha ragione è il vecchio pastore luterano, superiore diretto del vicario, quando sostiene che alla fine nessuno può sapere cosa succede realmente nel cuore di un uomo.

Eppure con questo mondo lontanissimo dal nostro abbiamo in comune la dinamica della passione, del dolore e delle chiacchiere di paese, una miriade di voci e di mezze voci che poi davanti alla Legge si tirano indietro.

E allora, proprio come un romanzo crime contemporaneo magari l’avvocato difensore degli “amanti diabolici” ha buon gioco a dire che ci sono solo supposizioni, che prove non se ne vedono, che servirebbe eventualmente una confessione. E di questo se ne deve occupare il buon vicario, l’autorità spirituale.
L’uccello nero di Gunnar Gunnarsson pubblicato da Iperborea è un romanzo estremamente appassionante, e infatti è della penna dello stesso autore che con Il pastore d’Islanda è riuscito ad appassionarci ad una storia dalla trama semplicissima, dove ci sono solo un pastore, un cane e un montone.
E rimanevamo legati a quella vicenda, di tre creature isolate nella neve, ancora di più lo saremo a questa storia piena di personaggi, di comprimari, di voci, di sospetti e e, forse, di una passione bruciante che cambierà la vita di Gudrun, Jon, Bjarni e Steinunn.

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