Le stanze buie di Francesca Diotallevi pubblicato da Neri Pozza è un romanzo che riutilizza in maniera colta e intelligente tutta una serie di situazioni e ambientazioni i lettori conoscono bene.
La vicenda inizia nel 1904 quando un anziano maggiordomo legge un annuncio sul giornale e con la mente torna al suo passato.
Ed è subito “rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!” come ne L’amica di nonna Speranza di Guido Gozzano. I tempi, in fondo, sono più o meno quelli.
Vittorio Fubini nel 1864 era uomo fatto che lasciava il suo incarcio di maggiordono a Torino per diventarlo in una lontana e isolata magione nobiliare nelle campagne piemontesi.
Non dobbiamo pensare a situazioni alla Downton Abbey o a Quel che resta del giorno: è una casa di campagna triste e isolata, immersa in quella vita provinciale molto ingessata.
Le occasioni mondane sono con il sindaco del paese, il curato e qualche borghese che sta tentando un’ascesa sociale: niente balli suntuosi, niente ricchezza. In un certo senso la casa dove va a servizio Vittorio Fubini è più simile al triste maniero de I demoni di Wakenhyrst di Michelle Paver, sempre pubblicato da Neri Pozza.
Perchè lo fa?
Perchè il posto di lavoro gli è stato lasciato in eredità, per così dire, da uno zio che non ha mai conosciuto ma che negli anni gli ha pagato gli studi, una sorta di lontano nume tutelare.
Ed egli accetta, solo per senso del dovere.
Vittorio Fubini non è un uomo simpatico, almeno per i nostri standard: è completamente legato al senso del dovere e all’etica del lavoro nella maniera più rigida possibile, quasi calvinista.
Era per uomini come lui che i viaggiatori stranieri quando passavano in Italia nell’Ottocento dicevano che a Torino non ci si divertiva mai.
In questa casa il conte che ne è proprietario è un uomo non raffinato e già avanti con gli anni, dai favoriti già bianchi e i vestiti stazzonati, mentre la contessa è giovane e bella; assieme hanno avuto una bambina di circa cionque anni.
A questo punto ne Le stanze buie di Francesca Diotallevi pubblicato da Neri Pozza potremmo aspettarci il classico triangolo tra il vecchio, la giovane moglie ed il servitore, ma Francesca
Diotallevi raccogliere assieme moltissimi topoi letterari per ribaltarli, sorprendendoci.
Tra Fubini e la contessa non c’è simpatia, principalmente perchè ella non si comporta come il suo rango vorrebbe: non vuole una tata per la bambina per poterla educare di persona (inconcepibile bizzarria nel 1864) e ha altre inclinazioni e interessi che per una nobildonna non sono considerate appropriate.
Intanto intorno a lui si muovono gli altri membri della servitù che non sono nè rigorosi nè precisi come vorrebbe, ma che lavorano lì da anni, da quando cioè era maggiordomo il defunto zio su cui forse sanno molto più di quanto non dicano.
Forse c’era qualcosa di misterioso nell’esistenza dello zio, ma non solo in lui.
La casa nasconde qualcosa: ci sono molte stanze chiuse anche da anni, e nessuno vi può entrare.
Se poi la figlia dei conti dice di vedere una figura vestita di bianco e di sentire strani rumori, allora noi possiamo pensare subito a Giro di vite di Henry James.
Invece anche su questo snodo della vicenda Francesca Diotallevi ci riserverà delle sorprese, dimostrandosi così padrona di una situazione codificata dalla letteratura di genere da poterla svillupare con una sensibilità moderna, anche ai sensi del procedere della trama.
Davanti a questi misterio Vittorio Fubini reagisce da uomo del suo tempo: è un positivista che se non credie in Dio, figurarsi se crede nei fantasmi. Lo spiritismo, che inizia ad andare di moda, per lui è roba da nobili annoiati.
Quello che invece è tangibile e reale sono le stanze buie e chiuse del primo piano, dove nessuno può entrare, e lui vuole capire cosa nascondono, e al contempo cosa nascondo gli altri.
Perchè in quella casa forse tutti nascondono qualcosa: il conte, la contessa e anche il resto da servitù, che la sa più lunga di quanto non voglia far vedere.
E tutti vogliono qualcosa: il conte una brava e buona moglie, la contessa una vita diversa, la bambina la felicità e anche qualche domestico vuole qualcosa.
Quello de Le stanze buie di Francesca Diotallevi pubblicato da Neri Pozza è un microcosmo isolato nello spazio e nel tempo.
Torino si raggiunge in treno con facilità, eppure sembra lontanissima. Sono gli anni del Risorgimento, l’Italia è appena stata fatta e tra poco la capitale dovrà essere spostata, eppure nulla di quello che accade nel mondo arriva in qualche modo a lambire quella casa cadente e silenziosa.
Nella trama non si può dire altro, perchè man mano che si procede nella lettura i vari topoi letterari creeranno delle aspettative che e snodi nella trama che Francesca Diotallevi ribalterà puntualmente, stupendoci e prendendoci alla sprovvista.
Proprio come per Vittorio Fubini, le cose che ci sembra di sapere ed immaginare si riveleranno mendaci, e per capire i misteri di quelle stanze buie più degli occhi servirà il cuore.
Tre motivi per leggere il bellissimo romanzo Le stanze buie di Francesca Diotallevi pubblicato da Neri Pozza?
Intanto perchè è un viaggio attraverso un passato descritto con attenzione e trasporto. Leggendolo sembrerà di camminare tra corridoi bui, le colline digradanti e nebbiose, crinoline e pesanti tendaggi.
Il secondo motivo è perché si tratta di un romanzo storico pieno di colpi di scena.
Infine perché è un romanzo dove amore, morte, dovere, vendetta e rimpianto sono strettamente legati e incatenano le vite di tutti i protagonisti.