Morsi di Marco Peano pubblicato da Bompiani è un romanzo dove le atmosfere alla Stephen King incontrano il senso della nostalgia alla Guido Gozzano; e non solo perché è ambientato in Piemonte.
Siamo a Lanzo Torinese, paesino di circa cinquemila abitanti, sul finire del 1996. Anzi, in realtà siamo a Borgo Loreto, che ne è una frazione: immaginiamoci quanto possa essere popolata.
Qui facciamo la conoscenza di Sonia e di Teo, due bambini delle elementari. Sonia è una bambina carina figlia di genitori rispettabili, anche se il padre non è proprio un tipo a posto. Teo invece, poverino, è un bambino grasso brutto e che oltretutto puzza perché vive in una fattoria e aiuta i genitori nella stalla. Per questo gli altri bambini dicono che puzza di stalla e Sonia lo tiene a debita distanza, altrimenti si rovinerebbe la vita sociale a scuola; i bambini sono crudeli.
Li rincontriamo nel 1996 poco prima delle vacanze di natale, quando succede quello che gli adulti chiamano “l’incidente”.
Da questo “incidente” prende il via tutta la parte orrorifica di Morsi di Marco Peano pubblicato da Bompiani. Di questa parte non si può dire nulla, se non sottolineare la copertina: una scritta rossa viva e una bambina che da sola cammina nella neve.
È una grande nevicata quella che va a silenziare il bosco e la cittadina di Lanzo in quei giorni e dopo questa nevicata succede qualcosa che muta il mondo di Sonia e Teo, che ora sono alle scuole medie e stanno per diventare ragazzi grandi.
Sulla parte orrorifica non dirò nulla, ma voglio spendere due parole sul diffuso senso di nostalgia che permea questa storia e su cosa si nasconde oltre gli avvenimenti che leggiamo.
Tutti gli horror – almeno, quelli validi – raccontano anche delle nostre paure e dei nostri timori. Carrie, ad esempio, oltre all’orrore e al sangue che scende è anche la storia di una ragazza bullizzata che si ribella.
Morsi di Marco Peano pubblicato da Bompiani è anche una storia di crescita e della fine delle certezze dell’infanzia, in favore dell’inizio di un mondo più adulto come quello dell’adolescenza dove certezze e regole ce ne sono meno.
Sul finire di questo 1996 il mondo di Teo e di Sonia viene meno: regole e certezze si sgretolano, cose che pensavano sapere non valgono più e loro si trovano da soli a cercare di sopravvivere.
Ecco, abbiamo due ragazzini soli contro il mondo che nel mentre scoprono anche se stessi e che stanno crescendo. Teo è dolcissimo quando una notte si rende conto che è la prima volta che dorme con una ragazza – lui è sulla poltrona, lei sul divano – in una casa isolata. Sonia e Teo si scrutano, stanno crescendo, si tengono per mano ed è bellissimo come Marco Peano riesca a raccontare la storia dal punto di vista di questi ragazzini, la racconta tirando fuori forse un po’ il ragazzino che è stato a quella età.
A me è piaciuto moltissimo come racconta “la città”. Siamo in un paesino di cinquemila abitanti, siamo nel 1996, prima dei social e di internet e addirittura prima dei telefonini: la città più vicina a Lanzo è Ciriè, che faceva diciottomila abitanti.
Non si trattava di una metropoli, però agli occhi dei protagonisti era già una grande città:
in effetti la cittadina di Ciriè, per chi abitava in quelle valli, era vista come una metropoli. Tutto sembrava più lucente: la gente era bella e vestita meglio, le case erano bianche come appena costruite (c’erano addirittura dei palazzi), l’atmosfera dava un senso di compiutezza difficile a spiegare. I giovani dei dintorni di Lanzo, non appena avevano la patente, ci trascorrevano il sabato sera: c’erano una birreria (che qualcuno chiamava “pub”) un locale dove si poteva ballare […], un cinema, ben due pizzerie e pure un ristorante cinese.
Eccoci immersi nello stupore di questi ragazzi di provincia verso il proprio personalissimo Eldorado.
Morsi di Marco Peano pubblicato da Bompiani riesce a dare voce in maniera perfetta a tutti coloro che hanno vissuto nei paesini – più o meno grandi- d’Italia, e che poi sono la maggioranza delle persone. E penso che tutti noi “provinciali” vedessimo alla stessa maniera le cittadine vicine alla nostra “piccola città, bastardo posto“.
Infine Morsi gronda di nostalgia, che si esplicita in un lungo catalogo sentimentale di cibi ed oggetti di quella fine degli Anni Novanta.
Troviamo Cioè, i cd di Bon Jovi, la Topoclick (la macchina fotografica di topolino che si assemblava), certi gelati ed il Game Boy, mentre si vocifera che a Ciriè “tutti hanno almeno tre televisori in casa e anche una playstation”.
Questa narrazione per un’Italia che non c’è più, fatta di nostalgia e ricordi, termina con l’arrivo della modernità.
Non si può certo dire come finisce un romanzo horror, trovo significativo che i protagonisti, cresciuti in pochi giorni per le cose che hanno visto e che hanno sopportato, si trovino infine davanti l’oggetto simbolo dei tempi nuovi:
Quello è lo zio Fortunato che porta in dono al nipote un oggetto esotico. Solo nei film le era capitato di vederlo, prima di allora. “È un telefonino,” spiega l’uomo con una certa fierezza.
Tre motivi per leggere Morsi di Marco Peano pubblicato da Bompiani?
Intanto perché di horror fatti bene ce ne sono pochi, soprattutto poi se guardiamo al panorama italiano.
Il secondo perché Marco Peano riesce a porsi all’altezza dei protagonisti preadolescenti nel raccontare proprio con i loro occhi la violenza, la natura, il mondo, le incertezze, le tensioni e primi sentimenti.
Il terzo motivo – che diciamo vale solo per chi ha più o meno l’età di Peano, come il sottoscritto- è per la dolceamara di nostalgia di come eravamo alla fine degli anni Novanta.